Polveri sottili: giovedì blocco del traffico. E se fosse telelavoro obbligatorio?
I provvedimenti straordinari che in questi giorni il comune di Milano sta provando a mettere in atto per arginare il continuo superamento dei livelli di polveri sottili tiene aperto il dibattito su tutte le possibili soluzioni per tamponare questo problema.
Nemmeno il blocco delle auto di domenica ha arginato il problema. Era domenica, la gente è rimasta per lo più a casa e questa ha fatto sì che in tutti questi appartamenti i riscaldamenti hanno dovuto lavorare per tutta la giornata.
Durante la settimana è difficile limitare il traffico in queste grandi città: la gente deve recarsi al lavoro e molti ancora lo fanno con la propria auto non riusciendo a conciliare i propri spostamenti con la rete dei mezzi pubblici.
E se la gente, un giorno alla settimana, non si mettesse in strada per andare a lavorare? Il sistema economico non può certo permettersi di lasciare inattivi i propri dipendenti e poi lasciarli a casa in ogni caso significa chiedere lavoro e inquinamento aggiuntivo ad ogni caldaia dei singoli.
Il telelavoro può risolvere il problema degli spostamenti, ma farlo da casa significa non ottimizzare i sistemi energetici che dovrebbero essere attivati singolarmente. Inoltre il lavoro dal proprio ambiente domestico non sempre garantisce la giusta produttività, inoltre annulla il contatto sociale.
Si potrebbe studiare in alternativa il telelavoro da appositi spazi (uffici) di “quartiere“. Cioè un luogo comune attrezzato con scrivanie e Internet, riscaldato, con servizi igienici e macchinetta del caffè, ma localizzato a 5 minuti a piedi o in bici dalla propria abitazione. Ogni lavoratore si ricreerebbe il proprio ufficio portando il computer portatile aziendale.
Non necessariamente tutti i lavoratori che occupano lo stesso ufficio di quartiere devono appartenere alla stessa società. Questo avrebbe anche positivi risvolti sociali: maggiore socializzazione tra persone che abitano vicine, ma che per lavoro non si incontrano mai. Senza contare che il confronto, anche quello piccolo durante una pausa caffè, porta sempre arricchimenti anche sul piano professionale.
Io abito a Forlì ed ogni mattina mi sposto a Bologna per andare a svolgere il mio lavoro al PC. A questo spostamento dedico quotidianamente quasi 4 ore, per lo più con l’uso dei mezzi pubblici, ma in ogni caso contribuisco quotidianamente ad immettere una dose di inquinamento nell’ambiente. Oltre alla spesa per pagare questi viaggi.
Sul discorso del riscaldamento domestico va detto che la prassi comune è quella di spegnerlo in assenza di “fruitori” (gran parte del giorno) e riaccenderlo quando questi sono presenti, col risultato che le calorie spese per riprendere una data temperatura (spostando il termostato anche ben sopra il necessario) sono molte di più di quelle che si sarebbero spese per mantenere un mite calduccio. E’ invece vero che il commuting costa soldi al singolo (per lo spostamento, per il tempo) ed alla collettività (per l’inquinamento), ed è – o meglio sarebbe – spesso facilmente sostituibile con la telecollaborazione.
Di qui arrivare al telecentro (od un co-working space per i professionisti) la distanza dovrebbe essere breve. Peccato che le migliori esperienze in tal senso sono – ovviamente non in Italia – di tipo pubblico o misto, dati i costi immobiliari e di gestione. Da noi le imprese sono spesso così spilorce e miopi che non si accorgono che il “peso” (economico, esistenziale) del commuting è tale che molti sarebbero disposti a rinunciare a parte dello stipendio pur di non accollarselo (http://bit.ly/haqQ7c), liberando così finanze per varie strategie di scala (affittare locali, porre le basi di domanda per un mercato dei telecentri privati o banalmente pattuire con gli ISP specifici contratti all-inclusive per il telelavoro domestico).